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Dutch Touch, Sulla seconda modernità in Olanda
Autore: Michele Costanzo, Hans Ibelings
Saggi La "seconda modernità" è una delle tante definizioni, che è stata attribuita alla produzione architettonica olandese degli ultimi anni. In particolare, essa designa una vasta serie di opere, assai ricca e intrigante, realizzata da una giovane generazione di progettisti; caratterizzata dal senso dell'imprevedibilità, dello stupore, della meraviglia e da una metodologia progettuale essenzialmente basata sulle molteplicità espressive della 'contaminazione'; anche se, l'aspetto che maggiormente conferisce un carattere identitario al suo messaggio culturale è la tensione internazionalista che internamente la percorre.
Per Bart Lootzma, che nel corso di questi anni ha, a lungo, riflettuto sul tema della "seconda modernità" olandese, essa è «[...] il prodotto dell'economia globale e degli sviluppi della politica, della nascita di reti di comunicazione, di una nuova forma di democrazia imperniata sui sistemi di sperimentazione e di coinvolgimento politico di singoli cittadini e, non ultima, della congestione»[1].
Un'espressione, dunque, della forte crescita produttiva del Paese, avvenuta nel decennio precedente, unita ad un cambio d'indirizzo in campo economico, politico e sociale a cui è corrisposta una radicale trasformazione nell'ambito dell'architettura, dell'urbanistica e del landscape.
Il largo spazio dato all'iniziativa privata, stabilisce il definitivo accantonamento della figura dello stato-imprenditore che, fino ad allora, aveva praticato un incontrastato 'dominio' sulla scena edilizia nazionale, esercitando un severo controllo sulle modalità di crescita e sui suoi risvolti nei confronti della gestione territoriale. In questo modo, viene a mancare quel punto di riferimento collettivo, fondato sugli universali principi, profondamente condivisi, di identità, razionalità e uguaglianza che avevano orientato l'impegno costruttivo del Paese durante il corso di tutto il Novecento.
Così, quella tradizione costruttiva fortemente permeata dall'intima tensione di un modello etico-culturale, che aveva lasciato una profonda traccia sulla configurazione fisica del territorio, è definitivamente messa da parte, in quanto, riconosciuta dai più strumento inadeguato a sostenere lo sviluppo economico-politico di un mondo ormai globalizzato ed a raggiungere gli ambìti obiettivi di una nuova, incalzante 'modernità'.
Pressate dall'imperante logica del profitto, le autorità amministrative e municipali, come osserva Roemer von Toorn, si avviano a trasformarsi in una sorta di "agenzie di intermediazione", per favorire le opportunità costruttive-speculative immesse dal mercato. «E' difficile continuare a sognare il paradiso in terra ora che è stata dichiarata la morte delle ideologie. Ma una cosa è certa: per gli architetti e gli altri professionisti della progettazione si stanno realmente spalancando le porte di un paradiso del progetto. Oggi più che mai gli architetti sono sfidati ad immaginare ogni sorta di esperienze paradisiache per la classe media olandese»[2].
L'Olanda, ben presto si trasformerà in un laboratorio di ricerca e di avanzata sperimentazione sulla città contemporanea (diffuso sull'intero territorio nazionale). E questo, grazie ad un agguerrito nucleo di progettisti, le cui accattivanti proposte dalla forte impronta "antidogmatica", godranno quasi immediatamente della favorevole attenzione delle riviste internazionali. A cui bisogna, immediatamente, aggiungere il contributo dell'influente personalità di Rem Koolhaas che, come una mitica figura di 'traghettatore', saprà condurre i giovani protagonisti della 'svolta' verso la nuova 'riva' del moderno, nonché ad una drammatica rottura con il passato.
Tra gli elementi distintivi di tale mutata condizione del fare architettonico, che si riflette sui nuovi caratteri assunti dall'edificio, si segnala la totale indifferenza nei confronti di concetti di luogo, significato e identità (gli stessi che, diversamente, avevano contrassegnato gli anni Settanta e Ottanta).
Si afferma la condizione della transculturalità, manifestazione di un sapere fuori da ambiti nazionali, contrassegnato da una pluralità d'identità possibili; i cui codici riduttivi, imposti all'architettura, porteranno ad una forma di radicale trasformazione del linguaggio.
Hans Ibelings definisce questo differente approccio progettuale, Supermodernismo[3]. Nel suo fortunato saggio, egli parte dalle mutate condizioni di luogo e identità, dalla progressiva perdita di senso dell'ambiente costruito, dalla crescente erosione del significato di spazio e dal fatto che tutto questo si riflette sulla tematica dell'atopia, dell'indipendenza dal contesto. Quello che impone alla società contemporanea tale stato di indeterminazione e di disagio nei confronti del contesto, è la mobilità, a sua volta, causa della disaffezione e della perdita d'interesse nei confronti dello spazio.
Il Supermodernismo è, dunque, il frutto di un complesso fenomeno di riassetto sociale a scala mondiale denominato globalizzazione: una 'rivoluzione silenziosa', che determina modalità diverse nelle relazioni umane, mettendo in crisi la stessa identità individuale.
I codici riduttivi imposti all'architettura dalla transculturalità, espressione di una cultura fuori dai confini nazionali, caratterizzata all'interno di una pluralità d'identità possibili, conducono ad un impoverimento dell'ambiente urbano. Le grandi città metropolitane sono sempre meno riferibili al paese d'appartenenza e rappresentano piuttosto dei luoghi fisici in cui le diversità culturali s'incontrano: si potrebbe osservare che la loro identità sta proprio nella loro perdita d'indentità.
I nuovi edifici, prodotti dalla fusione tra sistema comunicativo e struttura urbana, nel loro icastico configurarsi come interventi caricati di forte rappresentatività, contemporaneamente, sembrano aver perduto un codice di riferimento che conferisca loro il senso della necessità di appartenenza ad un genere, ad un contesto. Tali 'presenze' architettoniche sorte per spazi senza luogo, andranno a loro volta a costituire una differente identità di luogo, una nuova qualità di spazio, un diverso concetto di estetica.
Tutto questo induce ad una trasformazione dei modi di concepire l'architettura e dei suoi meccanismi realizzativi. Quello che caratterizza la figura architettonica è la capacità di assorbire in sé gli elementi che la costituiscono. Attraverso tale processo si viene a delineare un diverso universo formale che mette in luce una nuova libertà grammaticale e sintattica.
L'atteggiamento esclusivista, riguardo alle scelte tecnologiche o relative ai materiali, ha il fine di rendere l'oggetto alla vista: leggero, fragile, transitorio.
La tettonica ora acquista un ruolo strategico nella determinazione dell'oggetto, divenendo, a un tempo, ontologica e rappresentativa.
Tale modo di procedere è il segno di un progressivo ripiegamento dell'organismo in sé stesso, che porta ad esaltare aspetti di individualità dell'oggetto. Il progressivo concentrarsi dell'attenzione sul valore dell'involucro, dell'affermarsi della parete come entità progettuale autonoma, come soggetto della composizione, il suo insinuante interporsi nella dialettica tra spazio interno e spazio esterno, segna la messa in crisi della "indissolubilità" del loro rapporto.

I saggi qui raccolti, affrontano la questione del "secondo modernismo", come 'silenziosa' rivoluzione linguistica e culturale, che ha cambiato, in buona parte, l'assetto spaziale del territorio olandese.
Il fenomeno, nei suoi sviluppi, è affrontato da due diverse angolazioni: una, per così dire, interna attraverso il contributo di critici dell'architettura olandesi; e l'altra esterna attraverso riflessioni di architetti e studiosi italiani. Due punti di vista a confronto attraverso scritti che affrontano questioni a carattere generale o relativi a progettisti ed opere.
L'esperimento del 'confronto critico' ha avuto inizio, lo scorso anno, con un numero unico di «Rassegna di Architettura e Urbanistica», da me curato, dedicato all'Olanda; prosegue ora con alcuni di quei testi (in parte rivisti) e con l'aggiunta di nuovi, con l'intento di allargare e stimolare l'interesse e la discussione, soprattutto, sulle scelte del prossimo futuro.


[1] Bart Lootzma, Superdutch, Thames & Hudson, London 2000, p. 21.
[2] Roemer von Toorn, Design paradise, «Abitare» n. 417, maggio 2002.
[3] Hans Ibelings, Supermodernism. Architecture in the Age of Globalization, NAi Publishers, Rotterdam 20032. (trad. it. Michele Costanzo, a cura di: Id, Supermodernismo. L'architettura nell'età della globalizzazione, Castemvecchi, Roma 2001).

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