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I 50 anni della chiesa di Ludovico Quaroni a La Martella |
Rivista |
Metamorfosi N° 58 |
di |
gennaio febbraio, 2006 |
Autore: Michele Costanzo |
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Nel suo ideale e reale percorso attraverso il tempo della storia, la chiesa di La Martella progettata da Ludovico Quaroni (1951-1955) ha raggiunto quest'anno l'importante tappa del cinquantennio. Le buone condizioni in cui essa si presenta non corrispondono purtroppo ad uno stato di salute comune a tanta architettura moderna. Per questa chiesa, la cui delicata spazialità era stata sfigurata, durante gli anni Settanta e Ottanta, da incongrue manomissioni, incuria e dissesto sismico, tale recupero è potuto avvenire per la caparbia volontà di alcune sensibili personalità locali particolarmente attente al tema dell'architettura. Attraverso il loro impegno è cresciuto un vasto consenso popolare, a cui ha fatto seguito la costituzione della base economica necessaria per il suo restauro. Tale opera è stata portata avanti con puntiglio e accuratezza filologica da Mauro Sàito . In questo modo, con l'intervento di risarcimento è stata ricomposta la fragile unità architettonica che, tuttavia, non si è potuta estendere al ricco apparato figurativo (tra cui spiccano gli artistici interventi di Pietro e Andrea Cascella per le ceramiche, e di Giorgio Quaroni per il crocifisso) che si concentra quasi totalmente nella zona presbiteriale. Tale delicato ambito spaziale, purtroppo, è stato pesantemente manomesso dall'adeguamento al nuovo rito liturgico imposto dal Concilio Vaticano II che, nella diversa posizione assunta dall'officiante rispetto all'altare, ha innescato tutta una serie di 'drammatici' cambiamenti; ed, anche, dal fatto incontrovertibile che l'organismo architettonico è cosa viva e la modificazione è in sé la sua diretta testimonianza: questo vuol dire, allora, che esso si deve poter adattare a diverse sensibilità e a nuovi bisogni. Tale drammatica realtà investe solo l'architettura (e non altre forme d'arte) e non risparmia neppure le opere che la comunità riconosce come depositarie di uno specifico valore di tipo storico ed estetico. La chiesa di La Martella è un'opera al cui interno sembra racchiudersi in forma ancora percepibile il grado di passione ed emozione intellettuale con cui è stata ideata e portata a termine attraverso difficoltà e resistenze esterne. Tale opera, unitamente al borgo cui risulta strettamente connessa in senso fisico-simbolico-formale, ha lasciato una profonda traccia in tutta la saggistica architettonica cha ha trattato le vicende progettuali italiane del dopoguerra, e nella memoria degli architetti che hanno letto quelle pagine, o hanno avuto contatti con l'autore come suoi allievi, o più genericamente come 'discepoli' a livello intellettuale. In chiusura ad un famoso articolo, "Il paese dei barocchi", in cui Quaroni fa un bilancio della sua esperienza del quartiere Tiburtino a Roma, egli mette in chiaro un preciso obiettivo che sostanzia la sua visione progettuale, che non punta a perseguire un particolare risultato estetico, quanto piuttosto a realizzare un'opera in grado di farsi interprete di un modo d'essere e di sentire comune; solo questa strada, egli ritiene, possa consentire all'architettura di sopravvivere all'erosione fisica e concettuale del tempo. «E' un'opera [...] che non troverà mai posto in una storia dell'arte», egli scrive, «per quanto indulgente possa essere, ma che certamente "fa parte", di diritto della storia dell'architettura italiana (senza riferimenti alla "poesia" e alla "letteratura"). Questo volevamo che fosse, allora, il risultato di quello stato d'animo, di quella scomposta ribellione neorealista; e questo è stato, soltanto. E forse è già tanto. Solo un'idea. E le idee invecchiano subito: per sopravvivere hanno bisogno d'un terreno di cultura che le nutra e le faccia irrobustire per diventare, dimenticando l'idea stessa, civiltà, costume, tradizione» . In questa fase di severo, intimo bilancio riguardo all'esperienza neorealista, l'incontro con Adriano Olivetti ha dunque un valore particolarmente importante, in quanto da un lato, attraverso il movimento di Comunità, gli consente di percepire una diversa prospettiva culturale, sperimentando un reale contatto con uno di quegli "strumenti in grado di «potere»" che, come osserva Manfredo Tafuri , egli stava cercando con discreto impegno, ed inoltre gli fornisce un'occasione progettuale di notevole impegno intellettuale, quella del nuovo borgo di La Martella, insieme con Federico Gorio, Piero Maria Lugli, Michele Valori e Luigi Agati. Situato a pochi chilometri da Matera, il villaggio La Martella è il simbolo del riscatto di quel mondo magicamente descritto da Carlo Levi in Cristo si è fermato ad Eboli, e il progetto rappresenta un modello d'insediamento abitativo che tende a porsi come sintesi di una stratificata serie di studi, di modelli realizzativi, d'esperienze a lungo dibattute in quegli anni in Europa e negli USA. L'impianto urbano che viene a configurarsi prende le mosse dalla geografia del luogo, lasciando all'andamento delle sue curve di livello, il compito di configurare il caratteristico disegno spaziale, per poi proseguire, alla scala architettonica degli edifici, con una sorta di reinterpretazione dell'unità di vicinato presente nei Sassi, con esiti linguistici oscillanti tra l'espressione partecipe di tipo gergale e quella distaccata, astratta, fortemente improntata dalla geometria. La chiesa che progetta soltanto Quaroni, in quanto il più anziano del gruppo dei progettisti, in qualche modo è la sintesi di questa complessa vicenda architettonica. Figurativamente, come si è detto, essa è l'emblema dell'agglomerato urbano, la sua immagine dominante (non a caso Quaroni metterà da parte la prima soluzione in cui l'aula ecclesiale non emergeva dall'insieme delle case, ma era soltanto un basso volume che cercava di integrarsi con il paesaggio domestico circostante), e ne riflette le intrinseche ambiguità formali, quali: il gusto della contaminazione, il mescolarsi dei piani neoplasticamente liberi della facciata, unito al più compatto neoempirismo dell'aula ecclesiale che culmina con l'alta torre squadrata in tufo, ingentilita dalla ricca articolazione geometrica della copertura (di gusto ridolfiano) che la suddivide in otto spicchi triangolari. Ernesto Nathan Rogers definirà l'edificio di La Martella "una chiesa senza lacrime" per mettere in evidenza la sua realtà di opera laica. E lo stesso Quaroni affermerà, in occasione di un convegno, che «[...] non esiste il problema dell'architettura religiosa separato dal problema più generale dell'architettura, e non esiste nemmeno questo, se l'architettura deve essere, come è, espressione di una civiltà» . La profonda, radicata appartenenza della chiesa al suo contesto abitativo, così come è stata pensata dal suo autore e come in parte sembra ancora essere in quella circoscritta realtà locale, nonostante le profonde trasformazioni avvenute nel corso degli anni in aree limitrofe al nucleo 'storico' (peraltro, rimasto incompiuto nella sua ipotesi originaria), portano ad concepire l'estensione di un restauro a tutto l'abitato circostante, per evitare l'isolamento della chiesa da quel contesto di case a cui è strettamente legata, com'è chiaramente espresso nelle accurate prospettive 'ambientali' eseguite nel corso del progetto. Il pericolo incombente, dato l'avanzare aggressivo delle nuove costruzioni, è quello di far precipitare l'opera nello stereotipo del 'monumento', categoria a cui l'edificio non è strutturalmente preparato ad appartenere; un'eventualità del genere, peraltro assai prossima ad avverarsi, lo farebbe precipitare nella condizione di 'frammento', con la conseguente perdita di senso dell'edificio stesso.
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