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architetture di pace ospedali di guerra |
Autore |
Michele Costanzo a cura di |
Editore |
mancosu editore, 2007 |
Pagine |
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Il libro tradizionalmente nasce da un a tensione, da un'attesa, da una tentazione e da tale insieme di sentimenti, come scrive Jean-Luc Nancy, si trova l'intenzione febbrile da cui esso, ha sempre avuto origine. «Non c'è libro che scaturisca naturalmente: non si scrive un'opera come si scrive una lettera, una nota o un libello [...]. Ma si progetta un'impresa che, ogni volta, si pensa senza esempio e senza imitatore: si medita di consegnare o di consegnarsi [de livrer ou de se livrer] come un pensiero in sé perfetto e autosufficiente, mai come un semplice mezzo d'informazione, di rappresentazione o di immaginazione» . Un libro, dunque, nasce nell'agitazione e nell'inquietudine, nella fermentazione di una forma che si cerca, che cerca un dispiegamento e un acquietamento della sua impazienza. Analogamente a ciò che afferma il filosofo francese, anche la costruzione di questo libro è avanzata in maniera faticosa e sofferta nello sforzo d'inseguire, di cercare di cogliere la chiara definizione del suo ordine interno, e nel determinare, nel definire il profilo del suo obiettivo. Il punto della questione sta nel fatto che la trattazione si sviluppa lungo due percorsi di riflessione che, pur lontani per le loro diverse specificità, sono stati posti in stretta relazione tra loro e, in fine, ricondotti entrambi all'interno di un'unica visione complessiva che è quella delle problematiche attinenti il costruire e il fare architettura, essendo, chi scrive, un architetto. Il primo di questi due itinerari di idee, di considerazioni, di indagini su un aspetto tragico della realtà si consolida nel testo che accompagna la documentazioni/descrizione degli ospedali costruiti da Emergency nel mondo; il suo fine è quello di cercare di delineare le motivazioni, ideali e specifiche delle diverse situazioni operative, che sostanziano l'azione umanitaria dell'associazione. Il secondo è rappresentato dal tentativo di trarre, da tale interessante e coinvolgente esperienza, un insegnamento cercando di delinearne contemporaneamente i margini. Nel caso in questione, si tratta di un'importante occasione di riflessione volta a recuperare le tracce di un percorso teorico dell'architettura che sembra essersi smarrito, confuso all'interno delle complesse problematiche introdotte con l'avvento della società post-industriale. In questo rapido e sofferto processo di trasformazione dell'assetto sociale, politico, economico, culturale e comunicativo la disciplina appare come avvolta da un'energia incontenibile una specie di un'onda che la sospinge in avanti senza, tuttavia, consentirle di distinguere la direzione. Tale situazione, per il senso disorientamento e scadimento generalizzato dei valori che trasmette, rende il progetto, come afferma Manfredo Tafuri, una sorta di "oggetto trascurabile", preda di un'incontenibile spinta al consumo, nonché di un'affannosa ricerca comunicativa, che porta ad un'esteriorizzazione del messaggio iconico, nonché a un formalismo esasperato e fine a sé stesso: uno stato dell'essere che, peraltro, ha investito la società nella sua interezza, in tutte le sue manifestazioni. Tutto questo sembra aver indotto il fare ideativo a rinunciare (o, forse, a mettere provvisoriamente da parte) il necessario e costante rapportarsi ai suoi valori etici, e alle sue stesse ragioni d'essere rispetto alle concrete esigenze della realtà contemporanea. In questo senso, il riferimento a Nancy, aldilà del significato intrinseco del brano citato, è soprattutto un richiamo ad una forma di pensiero rivolta alla materialità, alla corporeità del "senso", e al suo svolgersi in una costruttiva impurità: un "composto teorico/concettuale" che come un ideale tessuto ora è disteso e liscio, ora è increspato, ricco di pieghe o aperture che l'attraversano, ora è contaminato da tracce di diversa provenienza: filosofico/poetiche, tecnico/scientifiche, o della vita comune, che determinano il suo sottile fascino, la sua avvolgente persuasività.
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